
23 Ago L’analisi tecnica (per fare trading online) funziona?
Se stiamo navigando su internet o stiamo vedendo qualche video su YouTube e se siamo interessati ai temi finanziari, è quasi impossibile non essersi imbattuti, almeno una volta, in qualche messaggio pubblicitario che promuove la piattaforma o il metodo xyz per imparare a fare trading, usando l’analisi tecnica.
Semplicità di utilizzo, rapidi guadagni, comodità di implementazione ed il gioco è fatto: orde di italiani, ogni anno, vengono attratti da questa nuova modalità per investire il proprio tempo libero, o, ancora meglio, per imparare “un nuovo lavoro” che, a detta di chi vende corsi o formazione in questo settore, potrebbe portare a grandi benefici economici.
Ma, al netto di quello che ci raccontano le persone che vendono questo tipo di corsi (che ovviamente saranno un po’ in conflitto di interessi) l’analisi tecnica (per fare trading online) funziona davvero?
Cosa dice la scienza economica, al riguardo?
Cosa dice la letteratura?

L’analisi tecnica funziona davvero?
Secondo i sostenitori dell’analisi tecnica, sarebbe possibile predire l’andamento di un asset analizzando soprattuto il grafico e alcuni patterns specifici che il grafico stesso “disegna”.
Ecco, è forse questa la fortissima spinta alla sua espansione, che la stessa analisi tecnica in questi anni ha avuto, come metodo per fare trading online: semplicità di utilizzo (basta imparare a leggere questi grafici e ad utilizzare questi indicatori), bassi costi per iniziare (è sufficiente avere un pc) e ricavi potenzialmente infiniti, lavorando comodamente da casa a qualsiasi ora del giorno vogliamo (perchè, come ben sappiamo noi fan di Michael Douglas, il denaro non dorme mai), sono i motivi per cui il metodo dell’analisi tecnica, strumento per fare trading, ha auto questa rapidissima espansione.
Ma è vero? L’analisi tecnica funziona davvero o è solo una “scienza” simile all’astrologia?
L’analisi tecnica ha un qualche fondamento scientifico, rigoroso, metodico, che faccia si che quelle tecniche che vengono insegnate nei vari corsi che trovi online (diversi da quelli che vende la mia azienda), come il testa/spalla, la media mobile, l’analisi dei supporti o delle resistenze, siano davvero utili e permettano davvero di far prevedere le borse?
Oppure tutto questo è solo fuffa, che pare funzioni davvero quando solo casualmente l’analisi tecnica riesce a prevedere (circa il 50% delle volte) l’andamento di un titolo, per poi fallire amaramente il restante 50% delle operazioni, diventando praticamente simile al lancio di una monetine?
Perchè, se io sono interessato a venderti il mio corso, in cui ti insegno a fare trading, ovviamente ti porterò in esempio un sacco di Case Studies dove ti mostro come la mia analisi tecnica ha davvero funzionato.
Molto probabilmente, però, non ti porterò in rassegna tutti gli altri casi in cui la mia analisi tecnica NON ha funzionato, viziando la mia stessa analisi di Cherry Picking (attenzione a questo problema, perchè si ripete anche nella letteratura scientifica che mira a verificare l’affidabilità dell’analisi tecnica).
Ed è solo portandoti in rassegna tutti i dati relativi ai winning trades della mia strategia che possiamo capire se la mia analisi tecnica sia vincente davvero o solo casualmente: ecco, generalmente, nelle pubblicità delle varie piattaforme / metodi di trading online questo non viene mai sottolineato.
Ma andiamo oltre e proviamo a capire se esista un fondamento scientifico all’analisi tecnica.

Le critiche all’analisi tecnica
Se siamo su questa pagina e stiamo leggendo questo articolo, sappiamo tutti bene su cosa si basa l’analisi tecnica e quali obiettivi si prefigge.
Se il comportamento degli investitori si ripete nel tempo, al verificarsi di certe condizioni, e di certi pattern grafici, è possibile predire l’andamento di un dato asset nel tempo.
Se si verifica un testa/spalla, allora il titolo calerà.
Se il supporto viene rotto al ribasso, il titolo scenderà.
Se la resistenza viene rotta al rialzo, il titolo salirà.
L’analisi tecnica si basa su un principio semplice, quanto molto potente (a ben vedere): se siamo tutti convinti che, dopo un certo pattern disegnato, il prezzo si muoverà in quel modo, allora tutti ci comporteremo in quel modo e il prezzo dell’asset, magicamente, si muoverà in quella direzione.
Si chiamano aspettative auto-avveranti e potrebbero essere la base dell’analisi tecnica.

Quindi, a ben vedere una delle caratteristiche dell’analisi tecnica è che sarebbero i traders stessi a farla funzionare: ergo, non ci sarebbe niente di più che una forma di aspettativa auto-avverante, alla base dell’analisi tecnica, che diventerebbe tanto più forte quanto più l’indicatore utilizzato è universalmente conosciuto.
E qui, però, che entra in gioco la critica più importate all’analisi tecnica, che viene dalla teoria dei Mercati Efficienti e dalla Teoria dell’Auto-eliminazione: secondo questi principi, infatti, il riconoscimento di pattern da parte di analisti tecnici porta all’auto eliminazione degli stessi e la loro azione collettiva ne eliminerà il verificarsi in futuro.
Tutto questo succede perchè i partecipanti sono al corrente della presenza di figure collegate a determinati andamenti: se ciò è vero, il mercato sconta già anche l’informazione futura – sempre se l’efficienza forte dei mercati è rispettata, secondo i criteri di Fama – e il prezzo ingloberà anche quello che eventualmente i traders si aspettano per il prossimo futuro, conoscendo le figure collegate al grafico.
Quindi, nei prezzi non starebbe “nascosto” niente più di quello che non sia già visibile nell’andamento del grafico e il potere predittivo del grafico stesso sarà nullo.
A riprova di ciò, Cervelló, Guijarroa e Michniuk (2015) hanno scritto come “that it is not possible to beat the market by developing a strategy based on a historical price series“, specie se vige il criterio di efficienza dei mercati.
Il discorso è molto semplice: l’analisi tecnica dovrebbe funzionare se i mercati sono poco efficienti, o, comunque, se vige (sempre secondo i criteri definiti da Fama), un’efficienza debole o quantomeno semi-forte, in cui i mercati non scontano tutta l’informazione futura.
Vedremo delle ricerche in materia che infatti cercano delle conferme circa questo principio dei risultati dell’analisi tecnica “migliori” quando i mercati sono poco sviluppati o inefficienti.
Dall’altra parte, Allen e Taylor (1990), Frankel e Froot (1986), Shiller (1989) e altri hanno sottolineato l’irrazionalità dell’Analisi tecnica e di come la soggettività di questo approccio gli impedisce di acquisire un carattere scientifico: con i trading Systems potrebbe essere superato questo problema, ma un sistema di trading deve essere sempre settato da una mente umana (viziata da soggettività) e, come sempre, quel trading system sarà tanto più efficiente, quanto più sarà diffuso (per il principio delle aspettative auto-avveranti).
Sarebbe vero, quindi, che l’analisi tecnica funziona perché sono i trader a volerla fare funzionare (come ha anche specificato Shiller, 1989), soffermandosi solo su quello che è andato bene (Cherry Picking).
Questa caratteristica di volersi concentrare solo su quello che funziona vizia anche i lavori che sottolineano l’utilità dell’Analisi Tecnica, come vedremo nel prossimo paragrafo.

Cosa dicono gli studi a favore dell’analisi tecnica
Come detto, un elemento su cui il mondo sembra essere abbastanza concorde è che l’analisi tecnica potrebbe funzionare in presenza di mercati poco o non completamente efficienti.
E alcuni studi pare abbiano provato l’assunto di cui sopra.
Ad esempio, prendiamo lo studio Examination of the profitability of technical analysis based on moving average strategies in BRICS (2018, qui il link), il quale riporta, tra le conclusioni, che “on average, the returns obtained using TA surpassed the value invested. Since some assets performed very well, they covered the losses incurred by other low-performing assets.
Le conclusioni degli autori si fanno, però, discordanti, nel momento in cui prima si sostiene che l’Analisi Tecnica abbia dato buoni risultati e, dopo, si dice che “poche combinazioni di medie mobili sono state in grado di sovraperformare i rendimenti di una strategia di Buy&Hold”.
Inoltre, gli autori sottolineano come “la strategia di trading non ha portato universalmente a risultati migliori rispetto ai guadagni generati dalla strategia di Buy&Hold“.
Lo studio è abbastanza contraddittorio e sembra viziato da quello che dicevamo poc’anzi, ovverosia cherry piccking: ci siamo focalizzati solo su quello che volevamo noi?

In un’altra ricerca, Han, Liu, You e Zhou (2015) sostengono come l’AT sia utile a predire l’andamento della borsa, ma anche che “the predictability is time-varying, and tends to decrease over time“.
Probabilmente perchè l’efficienza dei mercati aumenta, ma non possiamo essere sicuri di quanto detto.
Inoltre, gli autori scrivono che “All trading rules, technical strategies included, are subject to a tournament effect: about half of traders will fail to beat the market return, while the other will probably outperform“.
In sostanza, la ricerca confermerebbe come il trading sia un gioco a somma zero, dove, come in un lancio della monetine, hai il 50% di probabilità di indovinare cosa succederà: ma, se ti concentri solo su quel 50%, non dando valenza all’altro 50% che sbaglia, è normale che penserai di saper prevedere il futuro.
In sostanza, la maggior parte delle ricerche che provano a dare rilevanza scientifica all’analisi tecnica sembrano essere viziate sia da cherry picking che da confirmation bias.
Noi vogliamo dimostrare che un evento si comporti nel modo A, perchè siamo convinti che sia vero, e notiamo che il 50% delle volte si comporta effettivamente nel modo A, mentre l’altro 50% delle volte si comporta nel modo B: anziché dire che l’evento si comporta nel modo A o B in modo del tutto casuale, tendiamo a dire “ok, avevamo ragione nel 50% dei casi che l’evento si sarebbe comportato nel modo A, ma non siamo certi che, in futuro, si comporterà sempre nel modo A, visto che ogni tanto si comporta anche nel modo B“.
Il che vuol dire tutto e niente, a ben vedere.

Conclusioni
Ora, appuriamo una cosa basilare: quanto più il mercato è efficiente (e lo sta diventando sempre di più), tanto più con la semplice analisi tecnica ci possiamo friggere le patate, citando un grandissimo commentatore di cui non ricordo il nome.
In secondo luogo, non è nemmeno vero che se ci mettiamo a tradare, con i classici strumenti, in un mercato poco efficiente, possiamo avere uno strumento che riesce a prevedere davvero bene il comportamento delle borse: le ricerche non confermano ciò e, anzi, sembrano volerci riaffermare la completa casualità dell’analisi tecnica.
Quanto detto vuol dire che anche chi applica altri sistemi di negoziazione, come gli HFT o come chi applica l’analisi della microstruttura del mercato, siano solo casuali?
Assolutamente no, anzi: esistono moltissimi sistemi di trading automatico, HFT o quant’altro che riescono ad ottenere rendimenti positivi dal trading di brevissimo termine, sfruttando alcune microstrutture del mercato o inefficienze del mercato stesso che, anzi, riescono a ridurre (gli HFT potrebbero essere molto utili all’obiettivo di aumentare l’efficienza di mercato, se solo non fossero usati per manipolarlo, il mercato, attraverso azioni di spoofing e/o layering. Ma quello è un altro discorso).
Gli HFT sono caratterizzati da un elemento comune, ovverosia dalla low latency (bassa latenza), cioè il bassissimo (nell’ordine di qualche millesimo di secondo) lasso di tempo intercorrente tra l’acquisizione dei dati di input da parte dei calcolatori e la loro rielaborazione, fino all’immissione di un dato di output sottoforma di ordine di acquisto o vendita, analizzando migliaia e migliaia di dati e realizzando migliaia (fino a 5000 al secondo) operazioni.
Qualcosa di completamente opposto al classico trading che si insegna online, con squadretta o righello.
L’industria finanziari e moltissimi fondi che utilizzano tecniche di HFT o trading quantistico riescono a sfruttare disallineamenti minimali tra diversi mercati o piazze finanziarie, oppure riescono ad analizzare strutture particolari sui book di negoziazione nell’arco di millisecondi, per ottenere profitti di brevissimo termine. Tutta l’industria finanziaria sa quanto sia profittevole l’arbitraggio, ad esempio, tra i futures quotati al CBOE e le corrispondenti azioni (underlying di quei futures) quotate al NYSE.
Gli HFT altro non fanno che vendere allo scoperto futures sul CBOE a prezzi superiori a quanto le azioni al NYSE sono quotate e la velocità, in questo caso (oltre che all’azzeramento dei costi di transizione) è fondamentale. Alcune ricerche parlano di una velocità limite di 12 millisecondi per sfruttare queste minimali divergenze di prezzo, che, sommate lungo l’arco della giornata, comportano profitti importanti.
(Si noti come, in questo modo, la presenza di HFT aiuta l’efficienza dei mercati, eliminando proprio le possibilità di arbitraggio in millisecondi).
Tutto ciò è possibile solo in presenza di hardware e software aventi un’elevata potenza di calcolo ed è proprio questa un’altra qualità che consente di differenziare l’HTF per lo meno dal trading retail, che necessita di un semplice pc, di una connessione internet comune e di un comune conto trading.
Si noti anche che gli HFT, acronimo di Trading ad alta frequenza, non è qualcosa di diverso dal trading quantistico o trading algoritmico, ma solo una loro applicazione ad altissima velocità e frequenza, in grado di analizzare una miriade di dati in input e di sviluppare un’altrettanta mole spaventosa di dati in output. Un’altra caratteristica degli HFT è infatti avere un elevato order to trade ratio, ovverosia un elevato rapporto tra ordini inviati al book e ordini effettivamente eseguiti (attraverso cui poi si sviluppano altre tecniche di negoziazione e/o manipolazione, come gli stessi spoofing o layering).
Ergo, molte istituzioni finanziarie applicano con successo trading quantiativo e algo-trading sulle borse, operando attraverso potentissimi HFT, che riducono al minimo le inefficienze di mercato e le possibilità di ottenere trade positivi e vincenti operando col compasso e col righello.
Altri affermano di aver migliorato le loro doti di trader nel brevissimo periodo, utilizzando altri sistemi di analisi dei books e degli ordini immessi, per capire meglio dove si muoverà il prezzo del titolo tradato: la domanda che viene posta sempre, in questo caso, è come sia possibile competere con un supercomputer che è in grado di analizzare migliaia di dati in un secondo e di generare migliaia di altri ordini dopo aver analizzato quella mole assurda di dati?
Nel breve periodo, sicuramente esiste chi ottiene risultati positivi dalle negoziazioni in borsa, ma non sono sicuramente i traders di periferia che operano con supporti, resistenze o medie mobili.
Per l’investitore retail, quindi, la strada delle operazioni di breve periodo sulle borse, usando queste tecniche, è abbastanza casuale.
All’investitore retail che voglia operare con profitto sulle borse consigliamo sempre e comunque un approccio passivo, in cui l’importante non è stare dietro al pc giorno e notte a verificare le candele disegnate dal grafico dell’oro.
L’importante è definire un portafoglio equilibrato, sostenibile e ben fatto che, nel lungo periodo, con pazienza e dedizione, ci può portare grandissimi guadagni.
Come insegniamo dentro FinStart.
Come diceva Summers, la borsa non deve essere eccitante, ma deve essere un’attività noiosa quasi quanto vedere l’erba crescere: se vuoi sentire il brivido della scommessa, prendi 100 euro e vai al casinò.