
13 Set Hanno senso ETFs obbligazionari con tassi a zero?
L’obbligazionario è stata sempre un asset class importante da inserire in portafoglio: l’avvento però dei tassi a zero (ZIRP), avvolte addirittura negativi (NIRP), che oggi rappresentano un unicum assoluto nella storia economica recente, ha modificato la percezione dell’investitore medio di questa asset class. Se non rende nulla, ha senso ancora inserirla in portafoglio e comprare ETFs obbligazionari?
Il problema dei tassi a zero è stato già analizzato dalla nostra società in modo abbastanza ampio in un report recentemente pubblicato: in quello studio, ci soffermavamo maggiormente sulle implicazioni di un mondo “a tassi zero”, sia sui mercati che sulle scelte di allocazione di capitale, e su come affrontare, in linea teorica e generale, questa nuova circostanza. La domanda che oggi ci poniamo è invece diversa e riguarda un problema più specifico, che certamente il lettore/investitore sente propria: oggi, nel 2020, quando la maggior parte degli emittenti emette obbligazioni a tassi zero o addirittura negativi, ha senso comprare ETFs obbligazionari?
Partiamo subito rimarcando quello che già avevamo scritto in passato: l’ambito nel quale stiamo vivendo oggi, quello di tassi praticamente a zero lungo quasi tutta la Curva dei Rendimenti, non è un evento insolito, eccezionale o nuovo, in quanto altre volte, nella storia recente (ultimi cento anni circa), il mondo si è confrontato con questa condizione.
La differenza fondamentale è che in altre occasioni storiche (2009 o 1933) con bassi tassi d’interesse, le curve dei rendimenti erano comunque positive a lungo termine, con un rendimento obbligazionario implicito su lunghe durate.
Ergo, per i meno tecnici, significa che in passato i tassi spot, cioè i tassi che si osservano oggi sul mercato, potevano essere nulli, ma i tassi invece che ci si attende domani, forward, erano comunque positivi ed in crescita.
Questo perchè la Curva dei Rendimenti, ovvero la curva che lega i rendimenti delle obbligazioni ad ogni relativa scadenza, era crescente (curve crescenti incorporano tassi forward in aumento e maggiori dei tassi spot).
Questa è invece la prima volta che abbiamo insieme tassi bassi e una curva dei rendimenti piatta a lungo termine. Ergo, il mercato si attende che i tassi futuri rimaranno comunque piatti e tendenti allo zero e ciò genera delle distorsioni sul mercato obbligazionario (e non solo) molto elevate.

Ovviamente, su ciò sta incidendo fortemente la forward guidance delle banche centrali mondiali, che si affannano ad ogni meeting a ricordarci come la politica monetaria rimarrà accomodante per molto tempo ancora, addirittura introducendo nuovi meccanismi di calcolo dell’inflazione target da raggiungere (vedi FED), ma questo è un altro discorso.
Il discorso centrale del testo rimane: gli ETFs obbligazionari vanno inseriti in portafoglio?
Perchè non investire in ETFs obbligazionari?
Sono molti gli investitori e i consulenti che oggi sostengono la linea del non-investire ETFs obbligazionari, in quanto oggi questa forma di investimento non avrebbe più senso di esistere, a differenza ad esempio dei cugini ETFs azionari, che sono universalmente accettati.
Una delle ragioni portate dai detrattori è l’impatto dei costi: sebbene gli ETFs siano fondi molto economici rispetto ai concorrenti a gestione attiva, i costi contano. In uno scenario di tassi di interesse prossimi allo zero anche lo 0,20% l’anno richiesto dai cloni diventa pesante.
Alcuni investitori sostengono pertanto che gli ETFs obbligazionari presentino oneri eccessivi e che vadano evitati.
Un altro aspetto tecnico messo in luce da chi denigra gli ETFs obbligazionari è l’effetto durata: a differenza di un singolo titolo, un ETF non scade mai. La durata del portafoglio, infatti, resta costante. Mano a mano che i titoli sottostanti scadono altri li rimpiazzano. In tale modo l’investitore ha un portafoglio di bond con scadenza fissa. Ciò potrebbe essere un problema in caso di rialzo dei tassi di interesse: sappiamo bene che il valore di un obbligazione dipende in modo inversamente proporzionale rispetto ai tassi di interesse; se questi ultimi aumentano, la mia obbligazione perde di valore, poiché sul mercato è possibile rintracciare obbligazioni che offrono migliori tassi. Quindi, se volessi vendere la mia obbligazione prima della scadenza, dovrei farlo “a sconto”, con una perdita di valore (il mercato accetta di ottenere un titolo che paga meno interessi recuperando i soldi persi sul capitale).

Questo “rischio tasso” diminuisce col passare del tempo, poiché la possibilità di dover smoblizzare prima della scadenza la mia obbligazione decresce e con essa decresce la probabilità di doverla smoblizzare a sconto per i motivi detti prima: in un ETF che non scade mai, il passaggio del tempo invece non attutisce il rischio di tasso e l’ETF sarà sempre sottoposto a questa eventualità.
Perchè investire in ETFs Obbligazionari
A scanso di equivoci, c’è da dire subito che il rimpiazzo periodico dei titoli di un ETF elimina parte del rischio tasso, nel momento in cui l’ETF rimpiazza i titoli scaduti con altri titoli che riflettono le condizioni del mercato in quel dato momento.
Inoltre, chi compra un bond investe solo su una scadenza specifica. Al contrario chi sceglie un ETF obbligazionario investe in un gruppo di bond distribuiti lungo tutta la curva delle scadenze.
In questo modo la strategia obbligazionaria conduce ad un portafoglio “convesso“, ossia migliore sotto il profilo rendimento – rischio.
Oltre questi aspetti tecnici, la domanda che ci si pone in questo frangente riguarda soprattutto l’asset class obbligazionaria, se sia effettivamente capace ancora di dare valore (ovvio, non ho usato il termine “rendimento”, ma valore) in questo contesto. La risposta che ci sentiamo di dare è sì.
Per due motivi: uno di carattere ancora attuale, uno di carattere futuro, su quello che ci aspetterà.
Come abbiamo già avuto modo di sottolineare in passato, le obbligazioni hanno sempre fornito un equilibrio importante ad un portafoglio d’investimento: come ben sappiamo, la mancanza di interessi sulle obbligazioni ha fatto si che le stesse obbligazioni non riescano più ad assolvere alla loro funzione di «contraltare» alle azioni in un portafoglio d’investimento; quando esse davano ancora importanti interessi, le loro cedole permettevano agli investitori di respirare in periodi di crisi.
Il loro prezzo, per questo motivo, tendeva addirittura a crescere durante una crisi, soprattutto per le obbligazioni governative, e il portafoglio sopportava bene i cali vistosi dell’azionario.
La domanda quindi diventa cosa può fornire equilibrio e bilanciamento ai nostri portafogli in un mondo sì fatto, se le obbligazioni hanno perso questo importante ruolo: la risposta è ovviamente le obbligazioni che ancora danno buoni rendimenti.
Non vi voglio proporre obbligazioni in valuta cinese o High Yield statunitensi, che comunque soffrono molto sia dell’effetto cambio che del classico “flight-to-quality” quando arriva la volatilità. Ma di altri tipi di obbligazioni che, proprio per quanto detto prima, hanno svolto negli ultimi anni la nobile funzione di dare equilibrio ai nostri portafogli.
In primi, le obbligazioni convertibili, che grazie ancora ai buoni rendimenti offerti (soprattutto se peschiamo ETFs che replicano Convertible Bonds di emittenti investments grade), hanno non solo sovra-performato le azioni, ma perso molto meno durante periodi di crisi.

La ragione sta ovviamente in quello che ci dicevamo prima: le loro cedole (come i titoli di Stato di tanto tempo fa) permettono agli investitori di respirare in periodi di crisi
Altre soluzioni similari potrebbero essere Bond Corporate Investment Grade, a media/lunga scadenza, per gli stessi motivi delle obbligazioni convertibili, ma con minori tassi di volatilità ancora (ma anche con minori performance).
Un altro motivo per inserire obbligazioni in portafoglio – e vedremo quali – riguarda la protezione che potrebbero garantirci da contesti futuri.
Questi periodi di espansione monetaria che stiamo vivendo possono essere positivi, come lo sono stati, per le azioni in generale (e anche per i bond stessi, se ci sarà spazio per futuri rally), se l’attività dei policy makers si traduce in una ripresa delle condizioni economiche (chiamiamola “reflazione di successo“).
Ma una conseguenza alle risposte alla crisi dei policy makers potrebbe anche essere la stagflazione – crescita debole e inflazione più elevata – nel caso in cui le condizioni economiche rinarrano deboli e il denaro stampato si tradurrà in un’inflazione più elevata. Oppure, quello che abbiamo vissuto in Giappone negli anni duemila, ovvero una perdurante stagnazione economica connessa ad un basso livello dei prezzi.
In questo contesto, applicando eguale probabilità a tutti e tre i futuri scenari (anche se dubitiamo che le elevate misure di espansione fiscale che stiamo osservando non si tramutino in un rialzo dei prezzi), ci troviamo a dover bilanciare questi tre fattori: reflazione di successo, stagflazione, stagnazione.

Sia in uno scenario di reflazione che in uno stag-flattivo, le attività di copertura dell’inflazione come le obbligazioni indicizzate e l’oro tenderanno a fare bene in portafoglio, addirittura a sovra-performare le azioni nel 33% dei casi (scenario stag-flattivo): ergo, abbiamo il 66% delle probabilità di trovare in un prossimo futuro un mondo in cui le obbligazioni inflation linked potrebbero fare bene.
A voi le naturali conseguenze sulle scelte di investimento.