
04 Lug BTP Futura: conviene o no?
Lunedì parte il collocamento del Titolo di Stato che dovrebbe permettere al Tesoro di finanziarie parte del suo debito cresciuto a dismisura per far fronte ala crisi Covid: anche questa volta, il lancio dei titoli sarà accompagnato da grandi frastuoni e sollecitazioni all’investimento, ma con ancora molta poca attenzione (come spesso accade) alla reale convenienza in termini rischio/rendimento per il risparmiatore.
Con questo articolo proviamo a capirne le caratteristiche e se al risparmiatore retail possa convenire oppure no.
Il BTP Futura è un collocamento di Titoli previsto per il solo risparmiatore retail, con l’intento dichiarato di «far comprare il nostro debito» solo ai risparmiatori nostrani: rimangono quindi esclusi investitori istituzionali come banche o fondi d’investimento.
Sappiamo, infatti, che il BTP Futura ha durata di 10 anni, per cui il suo rendimento va confrontato proprio con il suddetto decennale. Tuttavia, a conti fatti non sembra che sia destinato a rivelarsi un’alternativa allettante.
Attenzione perchè lo stesso BTP Futura presenta sicuramente delle analogia con il precedente BTP Italia, ma anche delle differenze sostanziali: i tagli minimi saranno pari sempre a 1.000 euro e saranno assenti commissioni di acquisto in fase di collocamento, così come saranno nuovamente presenti premi di fedeltà per chi mantiene il titolo a scadenza (pari all’1% del capitale investito, ma potrà aumentare fino a un massimo del 3%, sulla base della media del tasso di crescita annuo del Pil nominale italiano) , come accadeva per il BTP Italia, ma il tasso di rendimento non sarà indicizzato all’inflazione.
Questo sarà legato ad un meccanismo di step-up quadri-triennale, per il quale crescerà in un range prefissato dal Tesoro la prima volta dopo quattro anni, la seconda e la terza volta dopo tre anni.

Analizziamo quindi il tasso di rendimento effettivo lordo offerto dal BTP, considerato che, come riportato nell’immagine, lo scorso 3 luglio il Tesoro ha riportato i rendimenti effettivi.
L’attuale “benchmark” offre cedola 1,35% e si acquista sul mercato secondario a 101,70, poco sopra la pari, di fatto facendo incassare all’obbligazionista un tasso annuo effettivo lordo dell’1,33%, pur a fronte di una minusvalenza alla scadenza (comprando sopra la pari, a 101, la minus è certa all’atto del rimborso a 100 del titolo).
Per i primi 4 anni, il tasso d’interesse sarà dell’1,15%; salirà all’1,30% per i successivi 3 anni e ancora all’1,45% per gli ultimi 3 anni. Tirando le somme, il tasso medio che verrà corrisposto nell’arco del decennio e che all’atto dell’emissione del bond alla pari coincide con il rendimento sarà dell’1,2850%, in perfetta linea con il rendimento decennale del BTp 2030 nelle ultime sedute e oggi all’1,20%.
Come mai non è stato offerto un tasso medio superiore a quello del decennale vigente?
Nelle nostre previsioni, avrebbe dovuto aggirarsi intorno all’1,40%, cioè superiore di almeno una decina di punti base e in linea con quello reale dell’ultimo BTp Italia.
Probabilmente sulla scelta ha pesato, oltre il fatto di non appesantire troppo le casse statali nel tempo, anche quella di non dare un’immagine al mercato e agli stakeholder esterni di «disperazione» riguardo la necessitò di rifinanziarsi. In fondo, per il Tesoro l’importante resta rifinanziarsi a costi bassi e, a quanto pare, l’espediente trovato con il BTp Italia è stato un’eccezione e non la regola.
Detto ciò, va rilevato che nessun altro Paese ha mai emesso un’obbligazione simile. È capitato con molte aziende, ma la cedola crescente era legata ai movimenti dell’inflazione, cosa che non avviene con i Btp Futura: in sostanza, si potrebbe classificare il titolo quasi come “ibrido”, considerato che non è presente una semplice protezione del capitale dall’inflazione, ma una vera e propria “scommessa” sulla progressione economica italiana. Come accade per gli strumenti ibridi emessi dalle aziende.

Ergo, il tasso di rischio/rendimento del titolo pare essere leggermente sbilanciato a favore de primo fattore, considerati gli aspetti prima analizzati: cosa succederebbe ad esempio se l’inflazione crescerà per variabili esogene (una crisi energetica?) mentre il PIl italiano dovesse rimanere ancorato al palo, in una classica stagflazione?
Che il BTP Futura diventerebbe carta straccia.
Oltretutto, vale sempre lo stesso principio secondo cui su un titolo del genere dovrebbe essere allocata una quota di capitale non superiore al 2-3% del portafoglio complessivo, per non incorrere in rischio specifico-rischio tasso troppo elevati: ergo, solo chi ha patrimoni superiori ai 150.000/200.000 potrebbe pensare di acquistarlo per diversificare la componente obbligazionaria del proprio portafoglio.
Anche se, in giro, ci stanno soluzioni molto più convenienti in termini di rischio/rendimento.